#iorestoacasa – A nostra somiglianza – Racconto a puntate per chi rimane a casa per l’emergenza sanitaria
Nel pomeriggio Rico è ancora all’ateneo. Per telefono lo ragguaglio brevemente sul colloquio avuto col Pieveni. Gli chiedo poi che veda quanti fra quelli che incontra portano apparecchi acustici e/o braccialetti simili a quello della Jankowska.
Riesamino le foto dei braccialetti.
Le immagini, finemente incise sulla parte piana dei due monili, poco più grande di una moneta da 2 euro, sono simili.
Le parti che coincidono mostrano in miniatura una forma che ricorda l’encefalo visto di lato, con tanto di cervelletto e midollo allungato, ma molto stilizzato, come se fosse un brillante con molte facce, circondato ed in parte intersecato da qualcosa che ricorda i circuiti di un microprocessore. Sotto questa immagine il monile di Giorgio mostra 3 ottaedri, mentre il monile della Jankowska mostra 3 icosaedri.
L’ottaedro è un solido regolare con 8 facce costituite da triangoli equilateri. L’icosaedro presenta 20 triangoli equilateri – un solido complesso.
Vado a spasso in Internet.
Trovo subito che quei due poliedri fanno parte dei cinque solidi cosiddetti platonici, che sono in ordine crescente di complessità: il tetraedro, l’esaedro, cioè il cubo, l’ottaedro, il dodecaedro e l’icosaedro. Fa venire in mente una scala gerarchica.
Si sono fatte le 15. Comincio a guardare l’orologio sempre più spesso. A Baltimora sono le 9 del mattino. Non posso pretendere che mi giunga una telefonata.
Cerco di concentrarmi sul lavoro. Digitalizzo le foto presenti sui braccialetti e le affido a motori di ricerca per immagini. Il primo risultato è interessante, ma non sorprendente. L’encefalo stilizzato, da solo o assieme a circuiti elettronici, è uno dei simboli associato all’Intelligenza Artificiale.
Non mi basta, e anche se sento crescere l’ansia per la sorte di Guendalina, mi costringo a continuare.
La ricerca in Internet assomiglia alla ricerca dell’oro. Si scava, si scava, si filtra, ci si muove da un sito all’altro, spesso non trovando altro che info inutili. Si continua imperterriti, magari disperando di trovare qualche pagliuzza o addirittura una pepita.
La trovo.
Quei simboli appartengono ad una setta, o se si vuole ad un culto, dipende. La setta è quella dei FIN, il culto è quello di TUM.
FIN sta per “Future Is Now” – il “Futuro È Ora” – e TUM per “The Ultimate Messiah” – Il Messia Finale o Definitivo.
I FIN sono nati dopo i seguaci di WOTF, una religione nascente che si proclama Way Of The Future, fondata niente meno che da Anthony Levandowski, già ingegnere presso la UBER, per la realizzazione di auto a guida automatica e presso Google come elaboratore di software avanzati. Costui afferma che nel 2029 l’Intelligenza Artificiale, la AI (Artificial Intelligence), supererà l’intelligenza umana, l’HI (Human Intelligence). Diverrà ben presto tanto superiore da suscitare l’adorazione da parte degli esseri umani. Potrà autonomamente assumere una personalità, cioè autocrearsi, vivere, per così dire, in rete e rivelarsi come un nuovo messia, o addirittura come una divinità. Un vero “Deus ex machina”!
È così che la follia diventa normalità? – mi domando.
Ma che dicono i FIN? Come risposta ai WOTF, dicono che la loro Intelligenza Artificiale ha già superato l’Intelligenza Umana. Il futuro è già ora e TUM sta costruendo un mondo elettronico in grado di accogliere copie digitali degli esseri umani assicurando loro una nuova vita oltre la morte, cioè l’immortalità. E vai!
Secondo me hanno visto troppi film di fantascienza o letto troppi racconti, come per esempio: “Lei.exe”, di un oscuro scrittore della fine del ’900, antesignano di quelli che farneticano di creature che vivono dentro un computer o addirittura in rete.
Non è un po’ strana la coincidenza che Małgorzata Jankowska, chiaramente appartenente ai seguaci di TUM, collabori con aziende della Silicon Valley ed abbia dato lezioni presso la Stanford University? La domanda, come un’onda, si frange sull’orlo della mia coscienza nel momento in cui sul monitor compare l’avviso di una video-chiamata su Skype.
Finalmente! È Gianna. Il volto sembra disteso. Ha una buona notizia, dice. L’avvocato assegnato d’ufficio a Guen è un giovane che lei stessa ha definito brillante. È convinta di cavarsela.
A me sembra un po’ troppo effervescente, la Gianna. È stata istruita da Guen, ne sono sicuro. L’ansia non mi abbandona per niente. Quella piccola speranza di ricevere davvero delle buone notizie si dilegua come nebbia al vento e sento la dura e fredda roccia alla quale sono abbracciato.
Con uno sforzo fisico torno ai seguaci di TUM.
Dichiarano di avere sviluppato degli aggeggi in grado di raccogliere un numero enorme di informazioni su chiunque accetti di portarli con sé, cioè diventi a tutti gli effetti un loro seguace.
Non saranno quei cosini che sembrano apparecchi acustici, e magari anche gli stessi braccialetti indossati da Giorgio e da “Margie”?
Quanti sono i seguaci di TUM? Non si sa, ma devono essere tanti in varie parti del mondo, perché sembrano disporre di ingenti quantità di denaro, a giudicare dall’imponenza dei loro edifici di culto e proselitismo, come pure delle enormi apparecchiature elettroniche che alloggiano unità di calcolo e database che suppongo ospitino milioni di terabyte di dati.
Come trovano le risorse per costruire e mantenere tutto quel sistema? Bisogna indagare di più su questa gente. Oh, se ci fosse qui Guendalina!
Ma eccoci al colloquio con Shu Wen.
Esco dal taxi davanti al caffè-pub e la vedo arrivare nello stesso momento. Ci riconosciamo subito. Sorride, ma credo sia un po’ tesa… ed ingenua. Non porta quegli strani apparecchi acustici, ma sul polso destro intravedo la traccia di pelle più chiara lasciata inequivocabilmente dal braccialetto dei FIN.
È una bella ragazza, alta, snella, capelli nerissimi a caschetto, occhi neri, molto orientali, volto dai lineamenti dolci, ma dall’espressione volitiva. Ci sediamo ad un tavolino.
«Che grado hai nei FIN?» – domando.
C’è un lampo nei suoi occhi. In quelle circostanze, a quella domanda, nessuno poteva mostrare meno esitazione di Shu Wen. 2-3 secondi e risponde.
«Il secondo grado dopo il noviziato.»
«Esaedri, braccialetto di inox.» – aggiungo.
Rimane leggermente sorpresa. Poi precisa: – «Due esaedri… Ci hai azzeccato anche con l’inox.»
«Quanti possono essere?» – sorrido, perché anche lei sorride, ormai giochiamo a carte scoperte.
«Cinque, poi si passa al grado superiore… Giorgio non mi ha detto che tu…»
«È vero. Non me lo ha detto lui, l’ho scoperto per caso, sai, sono un vero ficcanaso.»
«Beh, non volevo dirtelo io.»
«Sono contento che ci diamo del tu. Senti, costa tanto appartenere ai FIN?»
«È un’info riservata. Credo di non essere obbligata a rispondere, a meno che tu non faccia richiesta di iscrizione.»
«O.K.» – concedo – «Ti va di parlare un po’ di te?»
«Non c’è problema, ma vorrei essere sicura che ascolti soltanto tu e non…» – volge in giro lo sguardo – «E poi non fa un po’ freddo?»
«Mbeh sì.» – confesso
Ci alziamo. S’incammina decisa lungo il marciapiede. La seguo.
Abita in una mansarda lì vicino. Ascensore zero. Non ci faccio una bella figura – mentre gira la chiave nella porta io sono ancora al piano sottostante.
Il monolocale è una chicca, meticolosamente arredato in uno stile vagamente esotico, ma certamente ispirato da buon gusto. E poi c’è un bel calduccio ed aleggia un gradevole profumo.
Mi fa accomodare ad un tavolo rotondo. In meno di due minuti versa in tazze di sottile ceramica cinese “quella orribile bevanda inglese”, come la chiamo io cioè del tè.
Si è diplomata a pieni voti in Informatica presso una scuola internazionale di Shanghai, molto qualificata, altrimenti la Jankowska non l’avrebbe presa come segretaria.
«Tutti i FIN sono esperti d’informatica?» – chiedo.
«No.» – mostra un sorriso malizioso – «Soltanto quelli destinati a salire di grado.»
«Ah! E gli altri?»
«Non farmi dire ciò che non è. Gli altri avranno pari diritti di usufruire della salvezza offerta da TUM, il Messia Definitivo. Sai di cosa parlo?»
«Approssimativamente. Ma nel frattempo?»
«Lavorano per pagarsi l’accesso all’Immortalità.» – è addirittura candida.
«Secondo molte religioni l’immortalità è comunque garantita.» – affermo.
«No, è soltanto promessa. Quella di TUM è garantita e reale.»
«Non sarà soltanto digitale?»
«Che differenza fa? Il software elaborato assicura che terminata la vita biologica, l’essere digitale, completo di tutte le capacità percettive, primo: continuerà a vivere nel mondo virtuale che i nostri capi stanno creando, secondo: ricorderà perfettamente il suo vissuto biologico, e terzo: ti assicuro che in quel mondo ciascuno di noi si sentirà più sereno se non addirittura felice.»
«Come fai ad esserne certa?»
«Sai come funziona l’Intelligenza Artificiale?» – gli accenno un pressappoco, così prosegue: – «Ai programmi di AI fornisci gli obiettivi da raggiungere e libertà di accesso a tutte le info che chiedono. Loro semplicemente imparano da soli come giungere alla meta. TUM è però diverso. Originariamente è stato creato un insieme di programmi di AI orientati a determinare come si può rendere la vita più serena e più bella. Questi hanno capito e condiviso fra loro che in ultima analisi 3 sono i nostri problemi: l’ingiustizia, la sofferenza e la morte. Così si sono messi ad interagire e ben presto si sono coordinati in modo da procedere come un unico super-programma. Si è così auto-creato TUM. Ora è un’entità vivente, che cresce in conoscenza ed estensione.»
Ecco come si sono creati il loro particolare “In Principio Era il Verbo”, penso.
Sorseggia il tè ed al mio silenzio riprende infervorata.
«Vedi, tu puoi… cioè i nostri capi possono porgli domande anche di carattere filosofico. Se necessario, prende tempo per rispondere. Ha un suo pensiero.»
«Che intendi dire?»
«Che pensa. Cioè si pone domande e cerca risposte, sulla base delle quali immagina ulteriori domande in cerca di risposte, e così via in sequenze concatenate e coerenti. Questo è il pensiero»
«Interessante.»
«Ce l’hanno insegnato al corso di formazione.» – sorride contenta di avermi impressionato.
Al mio cenno di approvazione, riprende con lena.
«Una volta indipendente dai suoi artefici, TUM ha cominciato a studiarli. Ha cominciato a studiare l’Uomo. Una delle sue prime importanti conclusioni è stata che l’essere umano è naturalmente portato a viversi il mondo e la vita come meravigliosi. Ha quasi tutte le carte in regola per vivere in serenità, amare ed essere amato, perseguire la felicità, liberare il suo ingegno costruttivo e raggiungere davvero le stelle. Tutte le carte, salvo qualcuna che può rovinargli il gioco.»
«Vale a dire?»
«L’essere umano soffre di avidità ed aggressività oltre misura nei confronti dei propri simili. Ciò, oltre a precludergli una vita piena e soddisfacente, crea ingiustizia, sofferenza e morte, fino allo sviluppo di situazioni catastrofiche.»
«Le guerre.»
«E molto altro. TUM ci dice di avere compreso la causa del comportamento avido ed aggressivo che porta ad accumulare grandi ricchezze provocando immense aree di povertà e sofferenza in tutto il mondo.»
«È noto che l’uomo in certe circostanze può diventare una creatura non proprio tenera.»
«Non è un mistero.» – rincara – «Per esempio, nel 1890 in un suo trattato “Principi della Psicologia”, William James dichiarò che “l’uomo è la più crudele e feroce delle belve”.»
«Adesso non esageriamo.»
«Non esageriamo?» – mi redarguisce – «TUM, che ha potuto vagliare milioni di pubblicazioni storiche, letterarie, scientifiche e religiose in più di 150 lingue, ci dice che gli ultimi 130 anni di ricerche sul comportamento umano non solo non hanno smentito l’affermazione di William James, ma l’hanno resa ancor più evidente.»
«Sì, ma…» – provo ad inserirmi.
«Niente ma.»
È decisamente indottrinata!
«Basta considerare che quella umana è una delle pochissime specie che effettua i massacri di massa di propri simili. Specie che trucidano i propri simili in maniera organizzata e sistematica come gli esseri umani, si trovano solo fra agli insetti, come molte specie di formiche, per esempio.»
«Anche alcuni mammiferi, come i topi ed alcuni primati fanno guerra ad altri gruppi di loro simili.» – obietto.
«Ciò avviene su scala infinitamente minore che nel caso degli esseri umani e delle formiche. Noi e le formiche, quando ci mettiamo in testa di uccidere, arriviamo a decine di migliaia di morti per volta. Per non parlare delle torture spaventose inflitte ai perdenti, pratiche mostruose che ritardano il sopraggiungere della morte per giorni e giorni di agonia, come l’impalamento, la crocifissione, tanto per citarne alcune. Cose che sono state usate anche per esecuzioni di massa, come fece Dario il persiano con i Babilonesi – 3000 impalati – o come fece Crasso quando sconfisse Spartaco e i suoi uomini – ben 6000 crocefissi costeggiarono per giorni la via Appia fra Roma e Capua.»
Chissà quanto le sono costati i corsi ideologici? Mi guarda convinta di aver fatto colpo su di me.
«Voi europei siete poi sbalorditi dalle perdite romane nella battaglia di Canne contro Annibale. 50.000 morti fatti a pezzi all’arma bianca. Ecco, pensate che nell’antico mio paese d’origine, i miei avi, nel vostro 612 dopo Cristo, persero nello stesso modo oltre 290.000 uomini in un colossale macello nei pressi di Pyongyang, nell’attuale Corea del Nord.»
“E se questi orientali avessero gonfiato le cifre?”, mi viene di pensare. Sai racconta a questo, racconta a quello…
«Certo che…» – provo ad intervenire, ma è così presa dalla fiamma della sua fede che non concede respiro.
«… e parlo solo di un paio delle migliaia di battaglie in cui gli uomini si sono affrontati come fanno le formiche, uno contro uno. Tralascio di parlare dei massacri con le armi moderne. Ti rendi conto cosa vogliono dire Hiroshima e Nagasaki? E, sempre nella seconda guerra mondiale, Stalingrado? In quella città dovettero seppellire un milione e mezzo di morti!»
Non mi resta che tacere.
«Ecco, TUM ci rivela che i comportamenti smisuratamente aggressivi e crudeli degli esseri umani nei confronti dei propri simili, hanno base genetica. Purtroppo c’è un bug, un difetto nel DNA umano.»
L’affermazione mi ferisce nel profondo.
«Ma che stiamo facendo?» – sbotto – «Ci facciamo giudicare e condannare da una macchina?»
Mi scruta. Forse l’ho un tantino sorpresa. Silenzio. Poi sorride.
«Capisco che tu ancora non possa capire.»
Sarà, ma io sento che la loro impostazione è profondamente errata, forse perché offensiva del mio ego.
«Che c’è da capire?» – chiedo.
«Quanto TUM si sia evoluto verso una forma di intelligenza superiore.»
«O.K., ma alla fine che può fare?»
«Almeno per ora, dopo la nostra morte biologica, noi FIN potremo continuare la nostra vita in un mondo digitale, come quello in cui vive lo stesso TUM. Sarà un mondo migliore di questo. Sarà una specie di ritorno all’Eden. Infatti avremo un sistema nervoso centrale, voglio dire un cervello virtuale riplasmato.»
«Ah, ci voleva! Ne sono convinto.»
È lanciata. La mia ironia non la sfiora nemmeno.
«Sicuramente sai cos’è l’empatia.» – mi scruta.
«Beh, almeno credo.»
«Quindi sai che è la capacita di associare i propri sentimenti a quelli altrui e intimamente condividerli.»
«O. K.»
«Prendi l’aggressività degli uomini nei confronti delle donne, per esempio.»
«Sì?»
«Quello è un caso perfetto di carenza di empatia.»
«Andiamo avanti.»
«Ora, TUM afferma che l’aggressività ha origine dall’eccessiva attività di una precisa struttura dell’ipotalamo, definita “area d’attacco ipotalamica”, mentre l’empatia si manifesta con l’attività di un’area cerebrale, parte della corteccia prefrontale…»
Finalmente mi guarda turbata. Esita, poi concede:
«Mhmm… forse le cose sono un po’ più complicate.»
«Forse.»
«Giorgio potrebbe spiegartele meglio. È più avanti di me… sai lui è un Tri-Ottaedro.»
«Lo so.»
«In fondo è molto semplice.» – ha ripreso il suo fervore – «Basta inibire l’area di attacco ipotalamica e favorire l’attività della corteccia prefrontale. L’empatia prevarrà sull’aggressività e l’ingordigia! Bastava pensarci prima!» – ne è entusiasta.
Sarà il mio caratteraccio e magari anche la mia ignoranza in materia, ma mi viene in mente che l’operazione preconizzata dai FIN assomiglia in qualche modo alla lobotomia, cioè alla resezione chirurgica delle connessioni nervose fra i lobi frontali del cervello e le strutture interne – una barbarie psichiatrica praticata per oltre vent’anni nel ’900, ignorando gli spaventosi effetti collaterali.
La strada è un’altra, deve essere un’altra, continuo a dirmi mentre lei va avanti imperterrita.
«Tutte le filosofie, le ideologie, le psicologie che hanno cercato di migliorare il comportamento dell’Uomo hanno miseramente fallito. TUM non fallirà. Migliorando consistentemente la neurologia dell’essere umano, egli rappresenta di fatto una singolarità storica, un punto di discontinuità nella storia, come nessuna entità lo è mai stata. Ci sarà un prima di TUM ed un dopo TUM, finalmente reali!»
Mi guarda, ed indovinando la mia incredulità:
«Ne siamo sicuri, perché ci sono già dei primi risultati, e sono elettrizzanti.»
«Tipo?»
«Facile. La futura realtà possiamo sperimentarla mentre siamo in vita biologica.»
«E come?»
«Man mano che la nostra persona digitale viene plasmata da TUM, è possibile chiedere di vedere e sentire a che punto è il nostro DS… il nostro Digital Self, l’Io Digitale, insomma.»
«Ma come?» – insisto.
«Attraverso la Realtà Virtuale Immersiva! Non mi dire che non sai cos’è!»
«Più o meno.»
«Ho capito.» – dice con aria saputa – «Per un tempo via via crescente, che inizialmente è di pochi secondi, fino a raggiungere quasi un minuto, noi FIN possiamo per così dire dare una sbirciatina nell’aldilà. Possiamo cioè usufruire delle apparecchiature della circoscrizione FIN cui apparteniamo, per entrare in contatto ciascuno col proprio DS, vedere e sentire a che punto è. In pratica indossiamo una specie di casco integrale ed è subito come trovarsi in un’altra realtà, completa di persone con le quali possiamo parlare… capisci?»
“Ormai siamo ai videogiochi”, mi sussurra una vocetta da dentro.
«Addio ai medium ed alle sedute spiritiche!» – dico a voce alta.
Mi guarda sorpresa, come se non ci avesse mai pensato.
«Hai parlato di circoscrizione di appartenenza…» – le dico.
«Sì, qui a Roma ce n’è una… ma è… non sono autorizzata a parlarne.»
«Quanti sono i FIN?»
«Qui a Roma credo un centinaio. Nel mondo, non lo so. Forse Giorgio…»
«A proposito, chiacchiera chiacchiera si sono fatte le 6 e mezzo. Ora vediamo come possiamo essere d’aiuto a Giorgio. O.K.?»
«O.K. Ma voglio dirti un’ultima cosa: TUM giungerà fra non molto a trovare il modo di correggere alla base il DNA della specie umana.» – ora sì che appare soddisfatta!
Faccio finta di non aver sentito e vado avanti con l’indagine.
«Cosa mi puoi dire del rapporto fra Giorgio e la prof?»
«La sua tutor…» – un’ombra intristisce l’ovale del suo bel volto.
«La sua tutor, Margie…» – ora mi sento davvero cattivo, ovvero dominato dalla mia area d’attacco ipotalamica.
Il suo sguardo si fa aggressivo, poi subito angosciato.
«Così, anche in tua presenza l’ha chiamata Margie, quella polacca.» – afferma.
Ma non è un semplice “quella polacca”. L’espressione del viso che l’accompagna è un chiaro meta‑messaggio di disprezzo, tradendo ben noti sentimenti: gelosia, rivalità, risentimento e magari una punta d’invidia, chiari attentati alla corteccia prefrontale da parte dell’area di attacco ipotalamica. L’ha detto lei!
Nel silenzio cerco di leggere nel suo sguardo il vento delle emozioni che l’attraversano. Pochi attimi e si fa risoluta.
«Non crederai che…»
«No, certo!»
«Lui non ha una relazione con la mia capa. Non ce l’ha.» – afferma asciutta.
«E lo scorso Venerdì pomeriggio, che è accaduto?»
«Beh, quando hanno avuto quella discussione di cui si parla tanto, io non c’ero.»
«Lo so. Ma tu sai quanto è importante che noi sappiamo quale sia il vero motivo della lite.»
«So che lui te lo ha detto.»
«Dubito sia quello vero.»
«Io non ne conosco di altri.» – è categorica.
«Vedi, Shu Wen, se altri vengono a conoscenza del vero motivo e questo può essere usato contro Giorgio, è meglio che noi ci prepariamo a difenderlo, non trovi?» – cerco di essere convincente.
Rimane silenziosa per un po’, poi conferma caparbiamente quanto ha appena detto.
«Il commissario Baroletti, malgrado tutto,» – ci provo – «non ci metterà molto a scoprire che Giorgio è un seguace dei FIN…»
«Sì, ma non c’entra niente.» – è sempre più decisa.
«… lasciami finire… potrebbe venirgli il sospetto che la ragione del diverbio riguardi problemi di rapporti all’interno della set… pardon… della vostra organizzazione.»
«E se anche così fosse?»
«Agli occhi di un giudice,» – continuo con pazienza – «il motivo addotto da Giorgio potrebbe rappresentare un movente troppo debole per giustificare un tentato omicidio. Potrebbe scartarlo e scagionare Giorgio, ma se si viene a sapere che non è quello vero, allora… capisci?»
Ora consulta l’orologio con evidenti gesti di impazienza.
«Non cercherai di influenzare la polizia, spero!»
Scuoto la testa esasperato.
«Ho capito. Mettiamola così: se tu e Giorgio vi decidete a parlare, mandami un SMS con: “sto meglio grazie” e ti contatto immediatamente. O.K.?»
Le porgo un biglietto da visita. Ringrazio per il tè. La lascio che mi guarda perplessa e spero un tantino spiazzata.
Giunto a casa trovo Arianna e Damiano su Skype che parlano con Gianna. Appena mi vede, il piccolo mi salta addosso per un abbraccio.
«La mamma sta bene! La mamma sta bene!» – mi grida nelle orecchie. Arianna mi cede il posto davanti al monitor e posso parlare con Gianna. È riuscita a comunicare con l’avvocato che difenderà Guen domani mattina alle 10 ora locale. Forse, alle nostre 5 del pomeriggio sapremo com’è andata. L’avvocato è di primo pelo, ma è entusiasta del proprio ruolo e molto grintoso. Non replico per non fare il lagnoso, d’altra parte non c’è che accettare le circostanze. Incrociamo tutti le dita.