#iorestoacasa – A nostra somiglianza – Racconto a puntate per chi rimane a casa per l’emergenza sanitaria
Sabato mattina, 23 Novembre
Guen è in America e adesso sta dormendo. Scorro tranquillamente le notizie su Internet. Fra le pagine del Bild, un diffuso quotidiano tedesco, m’imbatto in un curioso trafiletto:
“Riportiamo un flash dell’agenzia Reuter – l’agenzia di informazione tedesca (N.d.A.) – nel quale si dichiara che su un quotidiano israeliano, il Maariv, compare una segnalazione chiaramente sfuggita ai controlli dell’HUR MOU, il servizio d’intelligence del Ministero della Difesa ucraino:
Il colonnello Goria Hopko, vicecomandante della base militare ucraina nei pressi di Staryi Saltiv, Dipartimento di Kharkiv, nell’Ucraina orientale, non distante dalla zona di guerra del Donbass, è stato sostituito dal colonnello Wasil Malinski. Il provvedimento si è reso necessario per motivi di salute.”
Prima reazione: “e chi se ne frega!”.
Ma oramai da tempo la mia mente è affetta da un male difficilmente curabile, comunemente detto “deformazione professionale”. Si mette subito a ticchettare, cioè comincia da sola a farsi domande che come onde vengono dall’oscuro mare dell’inconscio a frangersi al limitare della coscienza in cerca di risposte.
Intanto vediamo se altri giornali riportano quella anodina notizia.
Non lo fanno, eccetto il Washington Post. Non c’è niente neppure sui quotidiani ucraini.
Quelle onde, ancora piccole, che quasi accarezzano la mia coscienza, mi suggeriscono che altre comunicazioni del genere le troverò in un prossimo futuro, anche se non capisco il perché.
Sono contento di essere distratto da Arianna, intenta a scrutare il suo cellulare. Sta sicuramente leggendo un messaggio… Twitter, Facebook, Instagram…?
«Papà, c’è un problema.»
Ha appena ricevuto un whatsapp dalla sua compagna di scuola .
«Ieri, Giorgio, il fratellone di Lia è stato fermato dalla polizia che lo ha interrogato per almeno un paio d’ore…»
«E che ha fatto?»
«Lasciami finire, cavolo!… Poi è stato rilasciato.» – seguita a leggere ed a far scorrere le immagini a colpi di indice – «Sembra proprio sia indagato… Ecco… Giovedì sera la sua professoressa di Matematica è stata trovata mezza morta in fondo alle scale…»
«O.K., di quale scuola?»
«Che non lo sai? Quante volte se ne è parlato papà! Fa l’Università, dipartimento di Informatica della Sapienza.» – mi risponde.
«Che vuol dire “mezza morta”?»
«Vuol dire che non è morta… forse è in coma o cose così. Come vuoi che lo sappia? Non rompere, papà! »
Sta decisamente crescendo, la piccola.
Chiama a casa di Lia e Giorgio Pieveni. Mi sembra di capire che parla prima con la madre, poi col padre. Mi guarda a più riprese, poi un bagliore attraversa i suoi occhi.
“Ci risiamo!” – mormoro a fior di labbra – “Vuoi vedere che…”
{{Martedì 26 Novembre}}
A farla breve, il Martedì in mattinata, per la prima volta la Omega Investigazioni riceve una proposta di incarico dallo Studio Legale dell’Avvocato Osvaldo Marianelli ingaggiato come difensore dalla famiglia di Giorgio, accusato di tentato omicidio della sua professoressa di Informatica per averla spinta giù per una rampa di scale nell’edificio dell’ateneo La Sapienza, in via Salaria 113.
L’appuntamento è per le 17.00.
Giunto allo Studio, il Marianelli mi riceve immediatamente. Buon inizio.
Finiti i convenevoli non riesco a trattenermi dal domandare come mai abbia scelto la Omega Investigazioni. Mi fissa in silenzio. È piuttosto buffo. È un cinquantenne con un naso grosso e rossastro, ciglia folte e baffetti brizzolati, porta occhiali superleggeri, dietro i quali i suoi occhi chiari non stanno mai fermi.
«Non lo so.» – mi dice asciutto.
«Come sarebbe?»
«Non lo so e basta. Lo vuole quest’incarico o no?»
Lo voglio. Il budget a disposizione si rivelerà magro, anzi magrissimo ed in gran parte imprecisato. Per esempio, in caso di spese superiori a 50 Euro al giorno, una miseria, dovremo chiedere la sua approvazione. Prendere o lasciare. Dove sei Lukas Groeber? Che cliente! Non hai mai fatto storie neppure in corso d’opera.
Tornato a casa vorrei dare la buona notizia a Guendalina, ma non riesco a stabilire il contatto, eppure là a Baltimora è ora del lunch, che sta succedendo?
Comunque, al lavoro!
Invito a cena Ederico Sbrilli, cioè Rico.
Alla prima cosa che gli comunico si fa scappare un «Oddio no!»
«C’è qualcosa che non va?» – domando.
«C’è che avremo a che fare col commissario Baroletti.»
«Accidenti! Ma non dirige il commissariato di Via Ravenna?» – la mia è quasi una supplica.
«Non più, capo. Ora è al Pinciano, e l’ateneo di via Salaria dipende proprio da quello.»
Il commissario Arrigo Baroletti, uomo di mondo, azzimato e profumato frequentatore della Roma bene, con vantati appoggi presso il Ministero dell’Interno, amico di parlamentari e gente del genere, ce l’ha su con noi perché non proprio tanto tempo fa abbiamo dimostrato che si era sbagliato alla grande.
«Accidenti! Allora, chi ci può aver messo in questa situazione?»
Mi guarda divertito.
Vuoi vedere che è stato il commissario Capo alla Garbatella, cioè Amulio Pesce?
Amulio è un vecchio amico, di quelli col quale si può litigare anche di brutto, senza che l’amicizia subisca la benché minima incrinatura… almeno finora. Fra l’altro ha sposato Clarissa, la zia di Guendalina.
Lo chiamo e subito ci litigo perché fa il reticente. Alla fine cede o come spesso accade, fa finta di cedere, mentre io so che ridacchia, e mi fa sapere che per caso è amico dell’avvocato Marianelli. Quando ha saputo che questi aveva ricevuto dalla famiglia Pieveni l’incarico di difendere Giorgio…
«Di’ che l’hai fatto per metterci in difficoltà col Baroletti.» – gli dico.
«Ho fatto male a proporti. Vedo che te la stai facendo sotto.»
«Non meriti risposta. Ah, dimenticavo: grazie Amulio.»
In ogni modo dubito lo abbia fatto per darci una mano, perché se da un lato gli abbiamo talvolta tolto le castagne dal fuoco, dall’altro ci ha spesso trovato, come dice lui, tra le palle.
Il sorrisetto divertito di Rico accompagna tutta la telefonata.
Comunque sia, è andata.
Dunque, informo Rico che Giorgio Pieveni è uno studente 23enne che dovrebbe laurearsi in Ingegneria del Software entro il Giugno del prossimo anno. La vittima, con ferite alla testa ed una costola incrinata, è ricoverata al Gemelli. Si tratta della professoressa Margherita Jankowska, 31enne, italo-polacca con doppio passaporto. Ha conseguito una laurea magistrale in Ingegneria Computazionale presso l’Università Jaghiellonica di Cracovia. Si è poi specializzata in ingegneria del software. Collabora addirittura con aziende della Silicon Valley californiana. Ha recentemente tenuto lezioni di ingegneria computazionale presso l’Università di Stanford, appiccicata alla venerata Silicon Valley. Ha ricevuto ampi riconoscimenti a livello internazionale. Nell’ambiente si parla di lei come di una mente geniale.
Il ragazzo si dichiara innocente. Ammette però di aver litigato con la suo tutor, cioè la stessa Jankowska, come riportato dalla testimonianza uditiva di un compagno e di una compagna di corso, presenti nelle vicinanze dell’ufficio della vittima. Nessuno dei due però è riuscito a capire il motivo della lite. Sono concordi nel riferire che quando Giorgio è uscito dall’ufficio della Jankowska, lei era sulla porta e lui si è allontanato dicendole a voce alta e minacciosa: «Stai attenta! Stai molto attenta!». Dieci minuti più tardi, intorno alle 18.20, minuto più, minuto meno, un altro studente ha sentito la voce di Giorgio gridare: «Maugojata!» – poi il grido della Jankowska ed uno strano rumore, presumibilmente quello del rotolamento del corpo giù per le scale.
«Maugo… cosa?» – domanda Rico.
«È il nome polacco della prof. Sta per Margherita.» – gli spiego poi che per noi è scritto in modo strano: “Małgorzata”, con quella “l” tagliata, come quella di papa Wojtiła, di cui non si sa che bisogno ci sia, dico io nella mia ignoranza, visto che si pronuncia come una “u”. Comunque, caro Rico, teniamo presente che, secondo l’avvocato, il Baroletti sospetta che fra i due vi sia o vi sia stata una relazione che alcuni giudicherebbero poco ortodossa.»
«D’accordo, capo. È una delle questioni da chiarire.»
«Immagino il Baroletti ci sguazzi nell’idea di quella relazione…»
«Ho capito, capo, è normale. Quello cerca disperatamente un movente. Ha bisogno di un caso da gossip. Vuole finire in TV ad ogni costo. Vedrò di torchiare ben bene i compagni di questo Giorgio.»
«Perfetto!» – non è la prima volta che Rico mi sorprende. D’altra parte dovrei essere abituato ad essere sorpreso della perspicacia altrui.
Perché penso subito a Guendalina? Così mi riscopro impaziente di avere sue notizie. Guardo l’orologio e vedo che Gianna è in ritardo all’appuntamento telefonico. Ma torniamo al lavoro.
Quanto al motivo del litigio, riferisco a Rico che c’è qualche problema. L’avvocato dice che il ragazzo è stato piuttosto confuso nel parlarne, sia con lui in privato che durante l’interrogatorio. Il Baroletti si è attaccato a questo fatto per alzare la voce ed intimorirlo. Il che naturalmente ha peggiorato la situazione. Alla fine il pomposo commissario ha chiesto formalmente al giudice di accusarlo di tentato omicidio e di trasferirlo al carcere. Il giudice, per permettere le dovute indagini, ha accolto la proposta di incriminazione, ma ha deciso per gli arresti domiciliari.
Non ci vuole molto per capire che il motivo del litigio fra il Pieveni e la Jankowska è un elemento chiave dell’indagine, sia per l’accusa che per la difesa.
Oltre a chiarire la natura dei rapporti fra il giovane studente e la 31enne prof, il Marianelli vorrebbe qualcosa di oggettivo che scagioni il ragazzo, una vera prova a discarico. Possiamo recarci sul luogo del reato. Lo faremo, ma dubito fortemente che troveremo qualcosa di consistente. D’altra parte, anche per la polizia sarà difficile andare oltre le sole testimonianze. A furia di vedere fiction “legali”, si capisce che il gioco dell’accusa è di trovare contraddizioni fra le varie dichiarazioni dell’imputato.
Chiamo casa Pieveni e fisso un incontro col ragazzo per domani mattina Mercoledì.
Rico si recherà all’ateneo.
Finalmente intorno alle 21.30 ricevo la telefonata da Gianna. Ha tardato – là sono le 15.30 – perché attendeva di conoscere la data per l’udienza preliminare. Sarà Giovedì alle 10 ora locale. Ma ce l’ha l’avvocato?
E qui mi fa venire la pelle d’oca. Sembra che l’ambasciata italiana le abbia messo a disposizione un avvocato. Sembra. Ma? La fanciulla lo ha rifiutato. Roba da battere la testa al muro! Insomma avrà un avvocato d’ufficio. Mi concentro nel cercare di far dormire Damiano che, malgrado la Tachipirina continua ad avere 38 di febbre. Ma me, chi mi addormenta?
{{Mercoledì 27 Novembre}}
Intorno alle 10, ancora un po’ rincoglionito, giungo in via G. B. Falda, nel quartiere gianicolense, dove, al quarto ed ultimo piano di una palazzina si trova casa Pieveni. Mi aprono il cancello per accedere al parcheggio privato. Per fortuna, perché sembra che stia per venir giù un’acquata.
Trovo soltanto Giorgio e sua madre Elena.
Dopo essere riuscito con pazienza a calmare la madre, Giorgio mi fa strada verso la sua camera-studio. Giunti ad un passo dalla porta comanda: «Apri, sono io.»
La porta si apre. “O.K.” – penso – “Carino. Ma è un semplice riconoscimento vocale”. Il ragazzo mi guarda e, come avesse indovinato il mio pensiero, dice: – «Chiudi la porta.» E la porta si chiude. Mi fa cenno di metterci di lato e con la stessa voce: «Apri, sono io.» – niente.
«Deve anche riconoscere la mia immagine.» – sorride con gli occhi.
Una volta chiusi nello studio lo informo che il Marianelli vuole un’interrogazione ufficiale che a sua discrezione potrà essere consegnata al giudice.
Risponde con un’alzata di spalle. Come giunge dietro la scrivania, vedo la poltroncina che si muove e si pone nel posto giusto per farlo sedere, il monitor del computer si accende ed una voce femminile dichiara: «È tutto O.K. Giorgio… Vedo che hai un nuovo ospite. Vuoi che serva qualcosa?»
«Lascia perdere. Abbiamo daffare.» – risponde con voce normale.
Certo un caffè mi andrebbe… Ma resisto.
Mentre preparo la telecamera per la registrazione, mi accorgo che dietro le orecchie porta dei piccoli apparecchi acustici.
Sono piuttosto sorpreso, perché dalle foto passateci dal Marianelli, si vede che anche la prof ne porta di analoghi, forse identici.
Gli domando se ha problemi di udito. Sembra colto in fallo. Istintivamente si tocca dietro un orecchio. Poi si affretta a dire che non c’è problema.
Diversamente dalle aspettative, lo trovo piuttosto in forma. È un ragazzone aitante, che tiene la testa alta nel rispondere alla domanda chiave: quale il motivo del litigio?
«È stato per la questione del tirocinio esterno.»
«Sì?» – lo incoraggio.
«Alla fine del corso bisogna lavorare almeno per 6 mesi presso un’azienda che produce software per terzi.»
«Vai avanti»
«Ecco io avevo scelto un’azienda, la WWS…»
«Cioè?»
«La World Wide Softgames, vicino a Milano.»
«Allora?»
«Niente. Lei, voglio dire Margherita, non solo voleva pensarci su per l’ennesima volta, ma ha avuto il coraggio di dire che ancora non ero pronto… la tutor! Ho una media di 29,35, due lodi, una proprio per il tipo di software che lavora quell’azienda… Ho anche creato un game per l’ultima versione di Android, io! Ho provato a convincerla… sono giorni che ci provo… alla fine mi sono incazzato.»
«Quanto?» – domando?
«È lei che s’è messa ad urlare… anzi, io ho provato a calmarla… non mi crede?»
«Ma sì. Ora dimmi, è vero che le hai gridato di stare attenta, “molto attenta”?» – gli domando.
«Oh cavolo!» – si lascia andare sulla sedia scuotendo la testa.
«Allora?» – insisto.
«Sì, sì, l’ho detto.»
«E perché doveva stare attenta?»
Si ricompone.
«Niente… Vede, è una mesata che sono in contatto con l’amministratore delegato della WWS…»
In quel momento grosse gocce di pioggia a vento si mettono a picchiettare sui vetri della finestra. Subito delle persiane si chiudono e la luce nella stanza si intensifica fino a riportare la luminosità al livello adeguato.
Mi guarda. Forse vuole che mostri sorpresa o che mi complimenti. Mi limito ad alzare il pollice.
«Stavi dicendo che è un po’ che sei in contatto con quelli della WWS…»
«Mbeh, che c’è di male?»
«Ma niente! Continua.»
«Ecco, quello… l’Amministratore Delegato, è una persona importante. Fa parte della squadra dirigente della Confindustria lombarda. Ne presiede il centro studi. Ha molti contatti con la nostra facoltà e con altre, come Ingegneria Elettronica, perciò può anche nuocere… voglio dire, potrebbe, nuocere a lei. Il fatto è che quello mi ha fatto capire che se avessi avuto difficoltà… Credo non intendesse fare pressioni o altro. Sono stato io a forzare un po’ la cosa con Margie.»
«Comunque l’hai minacciata… Margie.» – concludo, calcando sul quel diminutivo.
C’è un attimo di imbarazzo.
«O. K.» – riprendo – «Hai o hai avuto una relazione con la prof?»
«Uffa!»
«Uffa sì o uffa no?».
«No, no e no! Chiaro? È una bella donna. Piace. Lo dicono tutti e lei lo sa. È facile fare gossip. Ma è sbagliato. Sba-glia-to! Va bene?»
Dalle foto forniteci dal Marianelli, scattate all’arrivo in pronto soccorso si riesce a vedere soltanto che la Jankowska ha un volto interessante.
Le persiane si riaprono, il sole inonda la stanza, le luci si spengono.
«Carino. È roba tua?»
«Sì, è un mio programmino di Intelligenza Artificiale. Sta diventando davvero bravo.»
«O.K., ma non ci distraiamo. Che tu sappia… Margie, ha o ha avuto una relazione con qualcuno dell’Università?»
«No… che io sappia,»
«Secondo la polizia vi sono testimoni che ti hanno visto più volte frequentare il suo appartamento. Un paio di volte ne sei uscito intorno alle 22.30 e anche dopo… magari nelle ore piccole.»
«È la mia tutor. Provate a domandare a quei testimoni se altri, anche delle mie colleghe, per esempio, hanno frequentato» – calca sulla parola – «la prof, facendo tardi.»
Non si è un po’ troppo alterato? Mi domando.
«Lo faremo.» – gli dico – «Ma non t’incazzare… ehm, alterare. Noi abbiamo l’incarico di trovare un modo per tirarti fuori dall’impiccio in cui ti hanno cacciato.»
«Giusto, mi ci hanno tirato dentro. Sempre che lo voglia trovare, quel modo. Insomma, lei crede che l’abbia spinta giù per quella maledetta scala o no?»
«Ascoltami bene Giorgio, se c’è, quel modo, stai sicuro che lo troviamo, ma soltanto se è vero che sei innocente. Se non lo sei, noi né mentiremo né inventeremo storie. Ti sia chiaro che se menti cercheremo di aiutare il Marianelli a trovare possibili attenuanti… ma non di più.»
Non ci rimane male. Anzi, sembra guardarmi con rispetto.
«Ti fai?»
La risposta del ragazzo è un immediato, adamantino “No”, come se si aspettasse quella domanda da un momento all’altro.
«Spacci?»
Stavolta sembra trovare la sedia un po’ scomoda. Ma sono pochi attimi.
«Certo che no!» – c’è indubbiamente della fierezza nella sua voce e nella sua riguadagnata postura.
«Perché hai chiamato a gran voce la prof quando stava scendendo le scale?»
«Diavolo! Intanto non era a gran voce… e poi lei me la fa adesso la domanda, ma quel Baroletti del cacchio mi ha ossessionato fin dall’inizio… e perché, e perché, e perché? Si è attaccato all’idea che nel chiamarla per nome le abbia messo le mani addosso e l’abbia spinta giù per la scala, ma non è così…»
«E com’è?»
«Niente. Ero ad almeno 3 metri dalla scala. Lei stava cominciando a scendere per andarsene e io volevo essere sicuro che si portasse a casa il mio disaccordo…»
«Diciamo la tua rabbia.»
«D’accordo, la mia rabbia! E allora?»
«E allora perché è caduta?»
«Ma non lo so! Si è voltata… ve l’avranno detto che porta sempre una borsa pesante… piena di libri o che so io… ha perso l’equilibrio o le è scivolato un piede. Non lo so!»
Segue un lungo silenzio.
Sono sorpreso di leggere della tristezza attraversare il suo volto
«Può dirmi come sta? Com’è la prognosi?» – mi sembra sinceramente angustiato.
«Per quanto è stato riferito al Marianelli, pare che il coma sia farmacologicamente assistito, ma comunque per ora è da ritenersi grave.»
Lascio che trascorra un po’ di tempo in silenzio.
«Ti hanno sorpreso vicino al suo corpo esanime…» – gli dico.
«Ma certo! Sono subito corso a vedere in che stato era. Non l’ho toccata perché ho visto del sangue sotto la testa e per muovere il corpo ci vogliono persone preparate… Sicuramente sapete anche che ho immediatamente chiamato il 118.»
Confermo.
Per ora non mi vengono altre domande.
Mentre sto riponendo la telecamera, si alza e mi si avvicina.
«Ho una ragazza.» – il tono è confidenziale – «Shu Wen Li… È cinese.»
Annuisco per incoraggiarlo.
«Ha 22 anni… Fa da segretaria alla Jankowska. Sono ormai 3 anni che è in Italia.»
«Immagino non fosse presente al momento della vostra lite.»
«Ve l’avrei detto. Se ne va alle 5. Con la prof ci siamo scontrati dopo. Erano le 5 e mezzo.»
«Il Baroletti lo sa di questa ragazza? Voglio dire, sa che è la tua fidanzata?»
«Non mi ha chiesto niente ed io non gli ho detto niente.»
«Lo scopriranno presto.» – affermo – «È meglio che io ci parli con Shu. Me lo fissi te un appuntamento?… Per ora riservato e confidenziale.»
Esita.
«D’accordo. In fondo sono stato io a parlargliene»
«Meglio se lo fai subito.» – gli dico mentre guardo l’orologio – «Per questo pomeriggio.»
«Non prima delle 5… E se lei non volesse?»
«Non posso certo forzarla. Dille però che è meglio se ci prepariamo. Le domande che potrà farle la polizia sono sempre tendenziose. È il loro mestiere.»
«Tieni.» – gli porgo il mio cellulare – «Supponiamo ti abbiano messo il telefono sotto controllo…»
Effettivamente mi aspettavo più tenerezza nel parlare con la sua ragazza. Colgo anche della preoccupazione. Si volta dandomi di spalle.
L’incontro con Shu Wen è fissato per le 17.15 presso un caffè pub a 6 – 700 metri dall’Università, a meno di un isolato di distanza dal monolocale dove abita.
Ci salutiamo. Si scusa per non accompagnarmi. Esco dallo studio e trovo la madre, Elena, in un atteggiamento che fa pensare stesse origliando. Non è importante. Ai suoi sguardi interrogativi cerco di rassicurarla che per ora non è emerso alcunché di preoccupante.
Nel passare attraverso il salotto, diretto all’uscita, mi cade lo sguardo su una foto di Giorgio con accanto la sorella Lia, incorniciata in argento, posta su una credenza. Immagino sia recente perché Lia appare più o meno dell’età di Arianna e lui è tale e quale l’ho visto adesso.
«Che c’è?» – domanda Elena.
«Bella foto!» – esclamo, mentre capisco per quale motivo ne sono interessato – «Si vogliono bene quei due, si vede!»
«Mhmm… sì, sì, anche se ci sono quasi 9 anni fra l’uno e l’altra.»
«Bel monile…» – continuo, mentre cerco di imitare quella faccia tosta che ho sempre invidiato a Guendalina – «Voglio dire il braccialetto di Giorgio… Anche se non mi sembra d’argento…»
«No, no, è proprio d’argento!» – esclama Elena. Poi accenna a coprirsi la bocca con una mano.
«Le spiace se ne faccio una foto? Sa, sarebbe per la mia signora… per il suo compleanno.»
Un braccialetto molto simile, in oro, lo portava la vittima, al momento del ricovero.
La signora scuote la testa. Fa un passo indietro. «Posso fotografarlo?… Solo il braccialetto… poi le faccio vedere la foto…»
Il silenzio è carico di tensione. In ogni modo, scatto la foto.
I convenevoli che seguono sono alquanto freddi. Mi faccio forza. All’ultimo momento le prendo una mano, gliela stringo e la invito a stare tranquilla che siamo dalla loro parte e che aiuterò Giorgio in ogni modo.
Si è fatto tardi. Fortunatamente la scuola di Arianna è vicina a casa e già la immagino a preparare il pranzo e ad accudire al fratello, magari fra litigi, scappellotti e parolacce che quando non sono presente, so che si scambiano come fossero le figurine dei mostriciattoli di moda.
Giunto a casa li trovo tranquilli che si scambiano brevi occhiate con due facce d’angelo che non convincerebbero un ebete. Damiano non ha avuto febbre stamani. Lo spuntino preparato da Arianna non è male. Accetta i complimenti e perfino una carezza che subito rende fuggevole.
È decisamente il mio momento dell’incontro con l’Intelligenza Artificiale – Arianna mi dà notizia di un curioso avvenimento.
Ieri presso il Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, in California, un immenso auditorium monumentale ancorché stravagante, è stato dato il secondo concerto di Rachmaninoff per pianoforte ed orchestra. Direttore d’orchestra: Gustavo Dudamel. Pianista: Sirea.
Ora io un po’ per caso un po’ perché ho un amico appassionato di musica che ogni tanto ci invita per delle vere e proprie audizioni di pezzi o di musicisti al top, questo Dudamel lo conosco. È un geniale direttore ai massimi livelli internazionali, ma di quel Sirea non ho mai sentito parlare. Quando lo dico ad Arianna, mi redarguisce.
«Papà, mi deludi. Non mi dire che non sai niente dell’Intelligenza Artificiale.»
«Dimmi te, allora.»
«SIREA è una sigla. Significa “Self Improving Real Electronic Artist”» – si alza prende una rivista e mi sbatte sotto il naso un articolo con tanto di fotografia. Riesco a distinguere un grande pianoforte a coda con una macchina applicata lungo la tastiera. A parte vari marchingegni, mi sembra più o meno costituita da due scatole che sembrano delle spole correnti su due guide. Dalle scatole si dipartono dei nastri, presumibilmente dei cavetti per il comando e l’alimentazione elettrica.
«Immagino ci sia un telecamera per seguire il direttore e che quelle due scatole siano le mani del pianista.» – dico rivolto ad Arianna.
«Mbeh ti restituisco un punto.»
Mentre come al solito Damiano ci guarda ridacchiando, le chiedo quanti punti mi aveva tolto.
«Guarda, per uno che va in giro a dire d’essere un ingegnere, non sapere niente di auto‑apprendimento e di Intelligenza Artificiale…»
«E allora?»
«Che dici Dam?» – domanda rivolta al fratellino.
«Dieci punti.» – risponde laconico e beffardo quel figlio degenere.
Arianna mi guarda con un’espressione che vuol dire: “mi pare giusto.”
«E come se l’è cavata con Rachmaninoff, SIREA?»
«Molto bene, pare. Dicono che non è ancora alla pari con Martha Argerich, ma che potrebbe competere col cinese Lang Lang, e scusa se è poco.»
«“Self improving”… come fa a migliorare se non ha orecchio.» – faccio finta di non sapere.
«Ohi ohi. Ti stai giocando il punto appena restituito, papà! Quello…»
«Vuoi dire SIREA?»
«Appunto, ha incamerato l’esecuzione di centinaia di concerti di pianisti fra i più famosi.»
«Un volgare imitatore…»
«Ma che dici! Se leggi l’articolo, trovi che ha un maestro: Krystian Zimerman, un grande pianista che dovresti conoscere.»
«Ah…» – faccio io, mentendo – «Quel pianista tedesco…»
«Sei una frana! Dillo pure che non lo consoci! È nato a Zabrze. Sai dov’è?»
Sta davvero diventando importuna.
«Non è in Germania…. mhmm…»
Damiano, mi suggerisce muovendo la bocca senza voce: “P -o-l-o-n-i-a”
«O. K., è in Polonia. E allora?»
Già due polacchi entrano in questa storia, curiosamente legati da un leitmotiv: l’Intelligenza Artificiale.
«Almeno 50 concerti l’anno» – dichiara Arianna – «con i più grandi direttori d’orchestra e tu non ne hai mai sentito parlare…»
«O. K., sai tutto, più di me, e allora?»
«Niente, collabora al progetto SIREA, che è anglo‑americano.»
«Dunque ‘sto SIREA non è del tutto “self‑improving”.» – contesto.
«Papà!»
«E poi SIREA è brutto.» – obietto – «Sì, molto brutto.»
«Come sarebbe?»
«Seduta a quel piano avrei preferito Anna Fedorova, ecco.»
«Ah, la famosa e formosa pianista venuta dall’Ucraina!» – è scandalizzata – «Che ne dici se ne parliamo alla mamma?»
«Ma bravi! Così se una pianista è brava, io non avrei il diritto di guardarla.»
«Ecco! Ti sei tradito! Hua hua!» sghignazza Damiano.
«Giusto!» – gli tiene bordone la sorella – «Perché non hai detto “ascoltarla”, eh?»
«O.K. Sapete che vi dico? Fatevelo spiegare dalla mamma. Va bene?»
Incredibile! Non ribattono.