Mercoledì 11 Dicembre
È con facce impresentabili che l’indomani mattina ci prepariamo alla partenza. Hae Myung, gli occhi a mezz’asta, il volto pallido dell’insonne, mi fa tenerezza. Nessuno dei tre osa manifestare il timore che qualcuno ci stia giocando un qualche tiro mancino. Gli Zielinski ci sono rimasti male, ci preparano una colazione coi fiocchi e non vogliono niente per la nostra permanenza.
Egidiusz deve partire in fretta per la scuola. Abbraccia Hae e le dice di contattarlo presto perché ha da dirle delle cose assai curiose che ha scoperto. Abbraccia anche Guendalina e mi stringe la mano. È commosso, si vede da lontano.
Alle 9.30 in punto un’auto blu suona il clacson davanti alla villetta. C’è solo l’autista. L’assenza di Topolski mi irrita. Alle 12.30 decolliamo dall’aeroporto internazionale Jasionka di Rzeszów.
A Ciampino ci attendono Clarissa con i ragazzi. Grandi abbracci, ma mi domando perché sia io che Guen stentiamo a lasciarci andare, a mollare la tensione. Forse perché sentiamo che la nostra amica americana è seria e preoccupata. La invitiamo a casa nostra. L’accompagneremo all’American Palace stasera dopo che avremo festeggiato in pizzeria con Clarissa ed Amulio il nostro rientro.
Mentre cerchiamo di sistemare le nostre cose, cediamo il computer ad Hae.
Prima di avviarci al ristorante ci confida le sue preoccupazioni. Sta accadendo qualcosa di veramente strano. L’attività di disturbo delle comunicazioni all’interno delle basi di Andriivka e di Krasne sembra misteriosamente cessata del tutto. Ma non così nella base di Staryi Saltiv, dove il contraffatto ex colonnello Derevyanko continua la sua opera di eversione. Sembra che problemi si stiano manifestando anche fuori dalla base, nella città vicina, dovuti ai militari che hanno contatti con familiari residenti. D’altra parte, risulta sempre più difficile intercettare le comunicazioni, come se PRION stesse imparando ad ostacolare le intrusioni di Szczeniak.
Per rincarare la dose, il nostro amico commissario, prima che prendiamo posto al tavolo prenotato, mi informa sottovoce che le trattative per la liberazione di Osmjak sono riprese. Al bar per un aperitivo, lo induco a sbottonarsi un tantino. Mentre fa di tutto per disimpegnarsi si lascia scappare due strane parole che mi scrive sul palmo di una mano: “Sdrowa Krowa”. Gli domando se in quelle parole si celi il motivo della liberazione di Osmjak. come tutta risposta ottengo un «Immaginazione, figliolo, immaginazione!».
Quando giungo al tavolo e vedo davanti a me una bella “4 stagioni” fumante sento un lancinante desiderio di sbattergliela in faccia. Nonostante tutto festeggiamo.
Vi sono sorprese e sorprese, ma mi riesce difficile affibbiare un aggettivo a quella che ci attende all’ingresso dell’American Palace quando riaccompagniamo Hae. Le darò un nome: Sparks!
L’antipatico, sgradevole, indisponente individuo è là, adagiato mollemente su una poltrona, accanto ad una signora che non mi piace per niente. Il perché non lo so. Sparks sorride come doveva sorridere Hitler quando gli parlavano dei lager.
Rimaniamo di sasso. Si alza e ci viene incontro insistendo con quel sorriso. Prima prende la mano di Guendalina e fa pure l’atto di baciarla, poi fa lo stesso con la sua compatriota ed infine a me porge la mano.
Ci presenta la sua compagna, o accompagnatrice o moglie, Annie, ma non specifica quali rapporti li uniscano.
Che coincidenza! Si trova lì per turismo, una breve vacanza che il duro lavoro di poliziotto a Baltimora raramente concede.
Ci invita al bar mentre guarda l’orologio in uno dei modi che suggeriscono mancanza di tempo. Rifiutiamo. Lo avremmo fatto anche se ci avesse srotolato davanti un tappeto rosso.
Domani andrà al Colosseo. Per me potrebbe anche andare dove ci troverebbe tant’altra gente, mandata a vario titolo. In ogni modo buona notte!
In un orecchio Guen chiede ad Hae se vuole dormire da noi. Risponde stoicamente di no. A che servirebbe?
«Beh,» – le sussurro – «a volte i bastoni riescono a rompere le ruote.»
«Anche quelle di un treno?».
Giovedì 12 Dicembre
Quando mi guardo allo specchio vedo più o meno lo stesso straccio di faccia che avevo ieri mattina. Guen cammina praticamente con gli occhi chiusi. Forse dopo colazione… Ma non serve neppure uscire nell’aria fredda per accompagnare i fanciulli alle loro scuole. Tutto sembra svolgersi nell’attesa di qualcosa di spiacevole.
Contatto il Groeber e lo informo dell’interruzione e della ripresa delle trattative per mettere in libertà il suo nemico. Gli prometto che indagheremo, sguinzaglieremo Rico, ci faremo aiutare anche dal nostro piccolo amico polacco. Che prenda comunque nota di “Sdrowa Krowa”, ed indaghi anche lui su quelle due parole. È impaziente ed angosciato.
Intorno alle 11 con una telefonata Dick Oliver Sparks ci invita ad un pranzo a base di pesce in quel di Fiumicino. Ammette di essere stato rude nei confronti nostri e della professoressa, perciò vuole rimediare – offre lui.
Forse dovremmo andarci armati, o magari accompagnati da un paio di carabinieri. Questa è la mi prima reazione. La seconda è che dovremmo rifiutare tout court. Ma ecco l’immagine del treno evocato da Hae ieri notte, a proposito di mettere bastoni fra le ruote.
In fondo siamo in Italia e lui qui è straniero, non ha giurisdizione e se ci prova con Hae Myung la proteggeremo come abbiamo fatto prima di andare in Polonia. Avverto Amulio. Non sa niente. Non è informato di alcun pericolo. Mah!
La giornata è splendida anche se fredda. Il ristorante è sul mare. È un piacere osservare lo spumeggiare delle onde alla brezza, attraverso il vetro panoramico accosto alla tavola imbandita. Si vedono sfrecciare anche diversi intrepidi che volteggiano sulle onde con tavole a vela o trainati da kite.
Annie indossa un décolleté azzurro al limite dell’osé, una collanina d’oro con tanto di crocefisso diamantato, una spilla non grande, ma decorata con minuscoli rubini. Si vede che prova a mostrarsi disinvolta e gradevole. Con me non ci riesce. Sparks sembra un manichino, tutto in scuro, camicia bianca e papillon… che mi piacerebbe acchiappare per un lembo, scioglierlo e tirarglielo via.
Fa di tutto per rendere l’atmosfera piacevole, più o meno come farebbe un orso marsicano, immagino.
In ogni modo, dopo un lauto piatto di spaghetti ai frutti di mare ed un paio di bicchieri di prosecco, ecco che viene fuori una proposta.
Se gli confermiamo che Faceless altri non era che Daniel Karlsson, lui chiude il caso che aveva riaperto e amici come prima. Si dice così, ma quando mai siamo stati amici?
In ogni modo, vi sono delle trattative che vanno avanti fino all’esaurimento della seconda portata. Lui incide sui nostri smartphone una dichiarazione in cui dà la sua parola di tenente della polizia di Baltimora che non ha alcuna ragione per procedere in alcun modo nei confronti nostri, né ovviamente di Hae Myung. Guen gli invia per whatsapp le foto della medaglia che Huan Teng ha fatto coniare per Karlsson e quella della tessera del Cascade Mounted Archery Center di Bend, dichiarando di averle ricevute da una persona nel cosiddetto Bottom di Baltimora, dove Faceless si è suicidato, dimostrando così che lui e Daniel Karlsson erano la stessa persona.
Tutto a posto. Il cameriere porta grappa e digestivi vari. Si brinda. Si ride.
«Sentite questa.» – dice Sparks – «C’erano 3 indiani Chinook: Olwin, Tala e Grande Falco Chayton… Li conoscete? Loro vi conoscono.»
Sono sommerso dal tinnire di piatti e posate, dalle chiacchiere e dalle risate della gente intorno. È il silenzio di quel momento.
Quelle labbra sottili sotto quei baffetti ignobili continuano a muoversi, a contorcersi come vermi. Mi alzo in piedi, la sedia va a gambe all’aria. Mi trovo affiancato da due individui in grigio, capelli a spazzola alti più o meno quanto me. Non ce l’hanno col sottoscritto, ma guardano insistentemente Hae Myung, immobile dall’altra parte del tavolo. Annie le ha posato una mano su un braccio. È una mano pesante ed il suo sguardo è quello del cobra.
La Sudicia Vecchia Puzzola una promessa la mantiene: paga il conto. Vorrei cacciarglielo giù per la gola, carta di credito e tutto!
Usciamo. Hae Myung è scortata fino ad un’auto blu con due bandierine a stelle e strisce ai lati del cofano motore. Prima di sparire assieme alla dolce Annie in un’altra auto blu, Sparks mi bisbiglia di aver già inoltrato la richiesta per la nostra estradizione negli Stati Uniti di America.
Rimaniamo lì come carciofi sotto il sole, invernale ma impietoso. La fronte scotta come un tradimento.
Tornati a casa Guen, più esperta di me in certe cose, contatta Amulio col metodo ultrasicuro appreso da Bit Chopin. Rimane scosso, il nostro amico non aveva previsto niente del genere. La richiesta di estradizione esula da tutte le sue competenze. Riguarda la Magistratura ed il Ministero degli Esteri. Però si tratta di procedure lunghe e dall’esito non sempre scontato, ci consola.
Guen, per quanto abbia cercato di apprendere dal duo Hae – Bit Chopin, non è ancora in grado di forzare i blocchi che proteggono le istituzioni. Dopo una mezzoretta getta la spugna e chiede aiuto al giovane genio di Zadąbrowie. Stabilisce un contatto audio video. Naturalmente lo trova ad ingollarsi di pop-corn con un’enorme bottiglia di coca cola a lato della tastiera.
“Sdrowa Krowa” è il compitino per stasera, con annessa specifica domanda se ci sia un nesso con Nikola Osmjak. Ci dice subito che in polacco, “krowa” significa mucca e che “Sdrowa Krowa” significa “Mucca Sana”. Sembra ovvio si tratti di un’operazione contro PRION. Gli occhi di Egidiusz brillano e dentro di me accendono una lucetta piccola piccola.
Mi macero nell’attesa e nel risentimento… contro chi? Contro Sparks? Contro la sua protervia? Non più di tanto. Allora è contro la sua ostinazione. No, perché vorrei averla anch’io. È chiaro che ce l’ho con me stesso per aver subodorato una trappola ed esservi poi caduto dentro come un agnellino. Dicono che è il super-io a prenderti a calci, ma la cosa più difficile da accettare è che davvero vorrei che qualcuno mi maltrattasse per l’errore commesso. Espiazione. Meno male che mentre sono avvitato in quel modo mi balza in testa un’idea.
Chiamo Manuella Roych, cioè Manù. È lieta di sentirmi. Buon inizio. È trascorso un anno e mezzo dal nostro ultimo incontro, avvenuto a Saranda, Albania, poco dopo essere stata fregata proprio da Osmjak. Nel frattempo è salita di grado ed è al comando dello Anti-Hacking Department – Central Europe, del CSSE, cioè del Dipartimento del CSSE Contro La Pirateria Informatica, nell’area dell’Europa Centrale. Il suo ufficio si trova a Mondorf-les-Bains, una cittadina ad una ventina di chilometri dalla città di Lussemburgo.
Senza altri preamboli le domando se lei sa che diavolo deve fare Nikola Osmjak nell’ambito del problema sorto nella base militare di Staryi Saltiv, in Ucraina, una volta che lo mettessero in libertà.
Osmjak libero? Non è solo sorpresa, ne è scandalizzata. Però non ha battuto ciglio quando ho parlato di quella base militare.
Mi dice che a suo tempo, ha chiaramente segnalato a chi di dovere la pericolosità di quel criminale. Mi richiamerà prima possibile.
È passata da almeno mezz’ora l’ora di cena. Arianna e Damiano reclamano. Guen riesce a convincerli di essere loro a preparare almeno uno spuntino. Musi lunghi, ma cominciano a darsi daffare anche se troppo rumorosamente.
Giunge una triste telefonata. È Hae Myung che ha ottenuto il permesso di salutarci e ringraziarci di tutto quanto abbiamo fatto per lei. Domani mattina alle 7.30 partirà per Redmond, Oregon dove sarà sottoposta a processo.
Di punto in bianco, Guen la informa che come lei ha abilmente previsto, a Staryi Saltiv PRION continua inarrestabile la sua attività. Non solo, ma è entrato in una fase anomala e molto pericolosa.
«Ma lo sa già.» – intervengo.
«Dagoberto ti saluta e ti augura buon viaggio.»
Terminata la telefonata, mi guarda e mi dice che sono ancora troppo giovane per cominciare a perdere colpi.
Poi credo di capire. Se, come è quasi sicuro, la telefonata era intercettata dai servizi segreti, Guen ha voluto informarli che se hanno voluto arrestare l’attività di PRION, ecco, là a Staryi Saltiv non ci sono riusciti. Nel contempo ha cercato di dissuaderli dal bruciare l’asso che hanno in mano, cioè la stessa Hae Myung. Mossa interessante.
Torniamo all’incarico ricevuto dal Groeber. Prima che Manù richiami dobbiamo pensare. Cominciamo così col porci delle domande e tentare insieme di dare delle risposte.
Per esempio: perché Nikola Osmjak è nemico mortale di Lukas Groeber? E perché costui, sebbene dica di essere svizzero, non riesce a nascondere del tutto un vago accento slavo?
«Osmjak ha dei conti in sospeso col Groeber.» – suggerisce Guen.
«Deve in qualche modo vendicarsi di un torto.» – proseguo.
«Inutile domandarci quale.» – continua Guen – «Pensiamo soltanto che Osmjak potrebbe essere di origine ucraina… il nome ed il cognome non lo contraddicono…»
«Giusto. Allora cominciamo a considerare che PRION debba essere neutralizzato prima che Kiev scopra l’ingerenza americana nelle proprie basi, in particolar modo quella in cui stanno accadendo fatti molto gravi e scoppi un caso internazionale. È evidente che gli americani non sono in grado di intervenire…»
«Ma neppure il CSSE.» – afferma Guen – «Sembra che anche loro siano costretti ad impiegare uno strano individuo… ecco, forse perché quello conosce il territorio e…»
«Deve essere in grado di infiltrarsi nella base. Non dev’essere facile l’Ucraina per i servizi segreti esteri.»
«Però, strano… proprio un bandito… non riesco a capire.» – Guen si gratta la testa.
Rimaniamo pensosi.
Lo spuntino, devo dire piuttosto gustoso e ben preparato è pronto.
Dopo qualche boccone, improvvisamente Guen si alza e sparisce nello studio. La seguo e la trovo a pestare sulla tastiera del computer. Ha iniziato una ricerca sui Rom in Ucraina. Non ne esce molto. La maggior parte delle notizie riguardano atti di vandalismo xenofobo contro i campi Rom. Ma intanto ha avuto un’idea importante che con un po’ d’immaginazione cerchiamo di portare avanti. Il numero dei Rom in quello Stato è imprecisato. Forse sono 3 o 400 mila facenti capo a numerose tribù.
Sento che sono loro la chiave del problema, anzi della soluzione cercata dal CSSE.
D’impulso, chiamo di nuovo Manù. Stavolta la domanda è: che diavolo ha di così speciale Osmjak perché funzionari del CSSE ne chiedano la liberazione? Questa era la domanda da fare fin dall’inizio!
La risposta è che costui è membro di una tribù Rom, gli Sfirnari. Questi hanno diversi insediamenti nel distretto di Kharkiv e un gruppo di loro fornisce approvvigionamenti alla base di Staryi Saltiv, in particolare carne bovina ed equina. Bingo!
«Tenga duro, Manù.» – la incoraggia Guen – «Cerchi di bloccare la liberazione di Osmjak per quanto possibile. A breve le faremo sapere se c’è un’alternativa a quel bandito.»
«Posso provarci, ma non so quanto a lungo potrò fermare il negoziato in mancanza di un’alternativa valida. Facciamo così: vi do il mio numero personale, così potrete chiamarmi in qualsiasi momento. Chiederò di bloccare tutto almeno fino a domani a mezzogiorno. In bocca al lupo.»
Facciamo l’una di notte nel cercare di contattare Lukas Groeber. Non so quante volte devo ripetere la lunga e tediosa procedura necessaria alla sua sicurezza di non essere rintracciabile da estranei. Finalmente risponde.
Niente salutazioni. Lo informo subito che Nikola Osmjak servirà come tramite per penetrare nella base militare di Staryi Saltiv per sabotarne il sistema informatico. Punto. È in grado di offrire un’alternativa?
Il silenzio è tale che temo sia caduta la linea. Tossicchio. Nessuna risposta, poi un «Ho capito la situazione. La prego di attendere.»
Dopo un lunghissimo minuto si rifà vivo.
«Buone probabilità per un’opzione.»
«Che vuol dire?»
«A causa di Osmjak, conosciamo un uomo, anch’egli un Rom, di una tribù diversa da quella di quel criminale. Cercheremo di entrare in contatto con lui per sapere se può e vuole trattare nella prospettiva di affrontare un rischio del genere. Dopotutto si tratta di una base militare. Voi capite…»
«Capiamo.» – gli concede Guendalina – «Consideri soltanto che nella migliore delle ipotesi entro al massimo domani sera il vostro Osmjak potrebbe essere in libertà, pur vincolato ad un compito da svolgere.»
Quel “vostro” è un po’ duro, ma in fin dei conti, il problema e del Groeber. Chiamerà lui appena possibile appena sarà chiaro l’esito del suo sondaggio. Click.
Venerdì 13 Dicembre
Che il sonno sia un gran delinquente lo dimostra proprio in frangenti come questi, quando molte cose sono sospese – mi tormenta senza compromettersi e finisce così per cogliermi su per giù alle sette e mezzo di mattina. Alle 9 il telefono, suo complice, suona come fosse una tromba.
È Groeber. Vuole una comunicazione protetta, come quella che abbiamo usato in Polonia, audio e video.
Ci vuole qualche minuto e sullo schermo compare il volto di un uomo che immediatamente ci dice:
«Anch’io vi vedo per la prima volta. Mi sono presentato sempre come Lukas Groeber, ma in realtà il mio nome è Jaromir Krylenko.»
È calvo o quasi. Il volto largo, la barba corta, brizzolata, un naso ragguardevole sul quale posano occhiali da vista la cui cospicua montatura non riesce a nascondere folte sopracciglia. Avrà una sessantina d’anni. Non accenna neppure un sorriso.
«Piacere di conoscerla di persona.» – gli risponde Guen.
«Veniamo al punto. State per venire a conoscenza di cose che per noi sono della massima delicatezza.»
Il suo accento slavo non è più velato da simulate inflessioni tedesche.
«Noi?» – mi viene di chiedere.
«Noi, Jaromir Krylenko e Olesya Vovk, persona chiave in questa situazione.»
Dopo un silenzio di alcuni secondi prosegue.
«Potremmo disporre di una persona alternativa a Nikola Osmjak, anch’essa capace di operare nel distretto di Kharkiv. Si tratta di un certo Baxtalo Khoniev, di etnia ROM, di provenienza Georgiana, raya, cioè capo di uno dei vari insediamenti in zona della tribù dei Kobzari, tradizionalmente versati nell’arte orafa. I Kobzari sono persone generalmente ben acculturate. Ci ha assicurato di essere ben introdotto presso alcuni ufficiali della base, cui procura preziosi più o meno legalmente. Inoltre è sufficientemente capace di interagire con un terminale informatico.»
«“Potremmo”?» – domanda Guen.
«Sì. Khoniev vuole che esibiamo delle referenze molto particolari.»
«Cioè?»
«Prima di procedere vorrei la vostra parola che sia lei, de Carolis, e non altri ad incontrare Khoniev e trasmettergli le credenziali di Olesya Vovk.»
«Significa che lui dovrebbe recarsi in Ucraina?» – chiede Guen indicandomi.
«In Ucraina e precisamente a Velyka Babka, una frazione di Zarozhne, un paese a 3/4 d’ora ora d’auto da Staryi Saltiv e più o meno lo stesso da Kharkiv, il capoluogo del dipartimento, città che possiede anche un aeroporto internazionale.»
«Posso almeno essere accompagnato dal nostro collaboratore Ederico Sbrilli?»
«Certamente, a patto che non sia presente al primo incontro con Khoniev.»
«Non conosco né la lingua, né il territorio, niente. Immagino non sia un posto turistico.» – obietto.
«Ma non è neppure zona di guerra. Una volta che Khoniev abbia accettato di collaborare, potrete stare tranquilli.»
«E se non accetta?» – ribatte Guen.
«Accetterà. La condizione che ha posto sarà rispettata. Ne siamo assolutamente certi.»
«Dobbiamo esserlo anche noi,» – prosegue Guendalina – «perché dovremo convincere i più altri gradi del CSSE, in modo che interrompano le trattative con Osmjak prima che sia troppo tardi.»
«Nel pomeriggio posso essere a Roma per consegnarvi di persona quanto richiesto da Khoniev. Dove e come posso incontrarla de Carolis?»
Si vede del movimento alle sue spalle. Compare il volto di una donna. Jaromir è indotto a scostarsi. La donna è su sedia a rotelle. Con un braccio che appare contratto, aiutato dal movimento della testa, agisce su una levetta. Si capisce che l’altro braccio è completamente inerte. Si ode un ronzio ed avanza fino ad occupare buona parte dello schermo. Nonostante la disabilità la figura è maestosa. La bellezza del suo volto sta nella forza e nella risolutezza che emana. È giovane, probabilmente sui 35 anni.
«All’incontro può essere presente anche lei, Corelli.» – la voce è calda, gradevole.
Segue un breve silenzio.
«Sono Olesya Vovk, lieta di fare la vostra conoscenza.»
Siamo così sorpresi che non abbiamo parole. Al nostro silenzio, continua:
«Jaromir, un caro amico di mio padre, è il mio braccio destro. Vi abbiamo seguito per anni e adesso vi affidiamo questo incarico in piena fiducia. Nikola Osmjak vuole la mia vita. Vi sarete certo resi conto che per togliermela non esita a colpire chiunque lo ostacoli nel suo intento. Ha delle ragioni, soprattutto perché crede che il danno che anni fa gli recai sia stato intenzionale.»
«E non lo è stato?» – chiede Guen.
«No. Ma fu molto grave. Spero un giorno di potermi sentire così sicura da invitarvi qui e potervi raccontare quelle vicende che hanno avuto esito nella mia infermità e nella mia determinazione ad occuparmi dei bisognosi d’aiuto. Adesso vi lascio a Jaromir. Oltre al successo vi auguro ogni bene.»
Nel dir così, con grande sforzo si porta il palmo della mano, che tuttavia rimane semichiusa, ad altezza delle labbra e soffia lievemente verso di noi. In più ci regala un leggero sorriso. Poi come prima, col movimento della testa aiuta il braccio ancora attivo a muovere il congegno che le fa fare retromarcia. Jaromir Krylenko torna ad occupare tutto lo schermo.
Alle 14.30 all’aeroporto di Fiumicino raggiungiamo quello che chiamo il “cliente premium” della Omega Investigazioni. Jaromir Krylenko è un tipo massiccio, vestito con eleganza e sobrietà, si muove senza fretta, è affabile. Ha accesso ai locali riservati ai VIP. L’incontro avviene in una piacevole saletta. Lo champagne è offerto dalla società di gestione.
Finiti i convenevoli, il messo di Olesya da una custodia in pelle tira fuori una corposa busta per spedizioni postali. Con gesti misurati ne fa uscire un quadro che incornicia un’immagine sacra costituita da una lamina d’oro sulla quale è ricavata a sbalzo la figura in argento di una madonna con bambino. L’icona, alta poco meno di un palmo appare preziosa per il materiale di cui è fatta, ma anche per la grazia e la purezza dell’immagine, sicuramente realizzata da un orafo di notevole levatura. Sul lato sinistro, in verticale si allineano lettere greche, anch’esse ricavate a sbalzo e smaltate in rosso. Guen, che ha fatto il classico vi legge: “Theotokos” (Θεοτόκος).
«Significa “Madre di Dio”» – precisa Jaromir – «Questa icona deve essere consegnata di persona a Baxtalo Khoniev. Data la località dove avverrà l’incontro, le confermo che riteniamo opportuno che la persona in questione sia lei, de Carolis, anche se sappiamo che è vostra consuetudine agire insieme.»
«Sono d’accordo.» – lo rassicura Guendalina.
«È stata realizzata dal nonno di Baxtalo.» – spiega – «Possiamo dire che è simbolicamente l’oggetto più prezioso che possedesse costui al momento in cui lo ha donato ad Osha.»
«Osha?» – chiedo.
«Oh, mi perdoni, è il diminutivo con cui spesso chiamo Olesya.»
«Ha anche, come dire, valenza sentimentale?» – domanda Guen.
«Sì. Ma non chieda oltre.» – risponde asciutto.
Ci mostra il retro del quadro, accuratamente sigillato con una sottile lamina d’alluminio.
«Deve dire a Khoniev di aprire il sigillo.» – spiega – «Dentro vi troverà una memoria micro-flash contenente un video‑messaggio. Ne prenderà visione privatamente.»
«Capito.» – confermo.
«Una volta che avrà visto il filmato, accetterà di collaborare. A quel punto lei o chi per lei, potrà comunicargli precise istruzioni riguardo all’obiettivo da conseguire ed informarlo il più accuratamente possibile dei rischi che dovrà correre. Gli si deve lasciare completa iniziativa quanto alle modalità di agire.»
«Credo sarà presente anche un funzionario del CSSE…» – obietto – «Probabilmente condurrà lui l’operazione.»
«Sarà Khoniev a decidere sul momento. Dopotutto il coltello dalla parte del manico lo ha lui.»
Ciò detto si alza, ripone il quadro nella custodia e me la consegna guardandomi dritto negli occhi.
«Nella busta vi sono anche istruzioni dettagliate per l’incontro con Baxtalo Khoniev.» – aggiunge.
Ci salutiamo.
È una cosa che scotta, quella che tengo fra le mani. Guen mi posa una mano sulla spalla e mi bacia su una guancia.
Chiamo Manù.
Lungo colloquio. Al termine la cartella che non oso neppure appoggiare sul tavolo, è ancora più rovente. Infatti Manù mi ha detto che proporrà l’intervento di questo Baxtalo Khoniev, ma se viene accettato e qualcosa va storto, rischia di essere dislocata in Afganistan.
Quanto al responso definitivo, spera di comunicarcelo telefonicamente oggi stesso fra le 20 e le 24.